Celebrazioni 25 maggio: un suggestivo e toccante racconto di Sergio Tabacchi, medico e volontario AMOA
Il 25 maggio si celebra la “Giornata mondiale dell’Africa”, per ricordare l’anniversario della fondazione dell’Organizzazione dell’Unità Africana. Era infatti il 25 maggio del 1963 quando i leader di 30 dei 32 stati indipendenti del continente firmarono ad Addis Abeba, in Etiopia. lo statuto dell’Organizzazione, poi sostituita nel 2002 con l’attuale organismo panafricano. Giorno di festa in tutti i paesi che aderiscono all’Unione Africana, il 25 maggio è anche un momento di riflessione e di sensibilizzazione sui problemi che affliggono il continente e sulle opportunità per il futuro. AMOA, da sempre vicina alla popolazione africana, rende omaggio a questa giornata attraverso le parole di uno dei suoi medici oculisti maggiormente esperto di missioni, Sergio Tabacchi, che racconta anche di una delle situazioni oggi più tragiche e complesse, quella dell’Etiopia.
L’ultima mia missione in Etiopia, insieme ai colleghi Massimo e Umberto Camellin, a Massimiliano Giovannini, strumentista di sala operatoria, e a Simona Guarini, ortottista e optometrista, risale a novembre 2019. Ad Adwa, presso la missione delle suore salesiane Kidane Mehret – fondata da Suor Laura Girotto nei primi anni ’90 e che dà istruzione quotidianamente a 1500 tra bambini e ragazzi – dove con AMOA ci rechiamo, a partire dal 2010, almeno due/tre volte all’anno. In quell’occasione abbiamo effettuato, come sempre, visite ed interventi chirurgici, distribuito occhiali e, esperienza quanto mai toccante e indimenticabile, si è pure fatto uno screening in una scuola per ragazzi ciechi a Gondar. Mi ero riproposto di tornare ad Adwa nella primavera 2020, il Covid-19 me lo ha impedito.
Etiopia: tra pandemia e guerra civile, il “nostro” ospedale funziona ancora
La pandemia da coronavirus, anche se può sembrare paradossale, oggi in Etiopia pare essere l’ultimo dei problemi. Perché nella regione del Tigray, nel nord, è in corso una sanguinosa e cruenta guerra civile, le cui responsabilità toccano anche l’attuale Primo Ministro, a suo tempo addirittura insignito del Premio Nobel per la pace. E ad Adwa, nel cuore del Tigray, ci sono il “nostro ospedale” e la “nostra missione “.
Migliaia di profughi, centinaia di morti, violenze, stupri e carestia sono la conseguenza di questa guerra il cui intento è quello forse di provocare una pulizia etnica della popolazione tigrina, nel completo disinteresse del mondo. Non sappiamo quando potremo tornare ad Adwa, speriamo la comunità internazionale scenda presto in campo e la situazione possa migliorare…
Per fortuna nel nostro ospedale, unico della zona a non essere stato distrutto, il lavoro prosegue in maniera incessante. Dall’inizio di quest’anno sono nati circa 1000 bambini e i medici etiopi, i cui presidi ospedalieri ormai non esistono più, lavorano lì collaborando con i nostri medici per le emergenze.
Il mio rapporto con l’Africa
Fatta questa premessa, vista la ricorrenza della Giornata mondiale dell’Africa, voglio raccontarvi in poche parole il mio rapporto con questo continente, e i numerosi perché del mio amore per questa terra meravigliosa.
La mia storia con l’Africa risale ad oltre trent’anni fa, al lontano gennaio 1989, quando sono partito per la mia prima missione, nell’ambito di un progetto del ministero degli Esteri. Destinazione Jimma, nel sud-ovest del paese, a circa 300 km dalla capitale Addis Abeba. Il primo impatto è stato sicuramente molto impegnativo. In quell’epoca i contatti con l’Italia erano molto complicati, quasi inesistenti; le poche notizie arrivavano per radio, alle 19, grazie a un notiziario della durata di pochi minuti e dedicato proprio agli italiani residenti in Africa.
Le telefonate a casa erano praticamente impossibili e mi sono trovato catapultato in un mondo che non conoscevo, con un lavoro ambulatoriale e chirurgico veramente importante. Ma anche con tanto tempo libero a cui la vita vorticosa del mondo occidentale non mi aveva preparato. La sistemazione logistica era sicuramente buona. Vivevo come in epoca coloniale in una casa che, per i parametri del luogo, era sicuramente lussuosa. In giardino, bellissimi banani erano “frequentati” da scimmie dispettose. Ero accudito da un’ottima cuoca etiope e da due guardiani locali, le mie “guardie del corpo”. La sensazione, all’inizio, è stata di grande solitudine: ho potuto riscoprire il piacere della lettura e quello di scrivere lettere e di riceverne… Ma devo confessare che, i primi tempi, nutrivo la speranza che quei 90 giorni passassero il più in fretta possibile. Poi, a poco a poco, grazie anche alle amicizie e alle frequentazioni con le persone del luogo, ho cominciato ad acquisire i “ritmi africani”. I tre mesi sono trascorsi bene, ho visitato e operato tanto, ed è stato faticoso al rientro risalire sull’ “ottovolante “della vita occidentale.
Negli anni successivi ho effettuato missioni in Kenya, Senegal, Tanzania, ma comunque negli ultimi 10 anni mi sono sempre recato in Etiopia una/due volte all’anno. Amo l’Africa, e in particolare l’Etiopia, fondamentalmente per “ragioni egoistiche”. Ovvero, per quello che dell’Africa mi sono preso: sono molto curioso, mi piace andare in giro per il mondo e l’Africa con i suoi profumi, gli odori, i colori, i tramonti e le sue stelle mi ha regalato emozioni incredibili. Ma, in particolare, sono le persone che ho incontrato in questi anni, quelle che, come si dice spesso, dovremmo aiutare a casa loro, che mai dimenticherò e che mi “calamitano” laggiù. Persone molto povere, a cui come AMOA dedichiamo la nostra attività, che nella loro indigenza hanno una dignità e una fierezza indescrivibili. Capaci sempre, con modalità che solo loro conoscono e che ti toccano dentro, di manifestare riconoscenza per le nostre azioni di assistenza e cura. Difficile descrivere la felicità di persone di fatto cieche, tra cui tanti ragazzi giovani, che dopo un intervento di cataratta hanno riacquistato la possibilità di vedere… Trasmettono sensazioni che ti gratificano per sempre. Sono io, siamo noi che, dunque, dovremmo ringraziare queste persone per quanto ci donano. Che grande fortuna per me, per AMOA, passare di là quando anche loro passavano di là… Il mio più grande desiderio, ora, è di poter tornare presto in Africa e fare la mia parte. Per loro, per me…