22 Novembre 2024

Etiopia: tra violenze
e carestia, l’incognita
del voto

Tre operatori di medici senza frontiere sono rimasti uccisi e si aspetta l’esito delle elezioni

Tensione, fame, guerra civile. C’è chi lo chiama “inferno di dolore”. Sono giorni estremamente difficili in Etiopia, specialmente nel Tigray, dove venerdì 25 giugno sono rimasti uccisi tre operatori di Medici Senza Frontiere. Maria, Yohaness e Tedros erano nel Tigray per fornire assistenza alle persone ed è impensabile che questo lavoro sia costato loro la vita. Come AMOA rimaniamo indignati per l’accaduto ed esprimiamo il nostro profondo cordoglio. Questa tragedia dev’essere fermata il prima possibile.

Lo scorso 21 giugno inoltre, il paese è andato alle urne ma occorre aspettare ancora per avere i risultati definitivi delle elezioni legislative e amministrative.

L’affluenza alle urne è stata massiccia. E anche se appare scontata la vittoria del “Partito della prosperità” del premier Abiy Ahmed, gli interrogativi e le preoccupazioni della comunità internazionale sono tanti. Ahmed ha parlato di “prime elezioni veramente libere dopo decenni di dittatura” ma, come sottolineano gran parte della stampa internazionale e l’Associazione Amici di Adwa, si è trattato di un voto incompleto: in oltre 100 delle 547 circoscrizioni del Paese i seggi non sono stati neppure aperti, a causa di problemi di sicurezza o difficoltà organizzative.

Il caso più eclatante è appunto quello del Tigray, regione devastata da una sanguinosa guerra civile che ha costretto migliaia di persone a fuggire all’estero e ha causato una forte carestia. Nel Tigray (che esprime 38 parlamentari) e nelle altre zone in cui non si è potuto votare, le elezioni dovrebbero tenersi il 6 settembre. Da sottolineare come nella regione, dal novembre 2020, è in corso un conflitto scatenato dalle milizie autonomiste locali, che sta coinvolgendo anche gli eserciti di Addis Abeba e della confinante Eritrea.

Secondo gli osservatori internazionali presenti in Etiopia, durante le operazioni di voto in alcune regioni si sono verificati boicottaggi. Nell’Oromia, la regione più popolosa del Paese (nonché terra natale di Abiy Ahmed), che esprime 178 dei 547 seggi parlamentari, il “Partito della prosperità” ha corso da solo, senza rivali, perché i due principali partiti di opposizione si sono ritirati denunciando intimidazioni da parte delle autorità e l’arresto di alcuni avversari politici locali del premier. 

In questo contesto, è sotto accusa anche l’operato delle milizie per la sistematica distruzione dei raccolti, del foraggio, delle coltivazioni e degli allevamenti che sta condannando oltre 5,5 milioni di persone ad elevati livelli di insicurezza alimentare. Sono stati documentati oltre 500 casi di violenza e stupri, ma si stimano molto più numerosi quelli non denunciati per timore delle vittime di essere stigmatizzate ed escluse dalla propria comunità.

Come se non bastasse, gli aiuti umanitari non raggiungono tutti. Arrivano sino alle zone urbane, ma non raggiungono i villaggi. Le persone non ricevono cibo ed acqua. Gli sfollati hanno occupato le scuole, perché non sanno dove andare. La guerra ha distrutto le strutture sanitarie. La gente è senza lavoro, perché alcune fabbriche sono andate distrutte. La merce venduta nei mercati ha i prezzi altissimi.

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