Gaia Romagnoli, nostra giovane volontaria, è da poco rientrata dalla missione ad Adwa, che si è svolta dal 3 novembre al 11 novembre. Ecco il racconto della sua avventura.
Partecipare alla missione Kidane Mehret di Adwa è stata un’esperienza che mi ha toccato nel profondo, un viaggio che mi ha insegnato cosa significhi davvero essere parte di qualcosa di grande, di utile, di umano. Sono arrivata in questa terra con il desiderio di fare la differenza e sono tornata arricchita da ogni sguardo, ogni sorriso, ogni mano che ho stretto.
Adwa è una terra che ha conosciuto la sofferenza, una terra che porta cicatrici di guerra e privazioni. Ma tra le sue strade polverose e i suoi orizzonti montuosi, ho visto la forza, la dignità e il coraggio di persone che non si lasciano abbattere, che lottano ogni giorno per vivere. È proprio qui che la missione Kidane Mehret, gestita con immenso amore da Suor Laura e dalle altre suore, diventa un faro di speranza. Da oltre trent’anni, questo centro accoglie chi non ha nulla, chi è stato dimenticato, chi cerca una seconda possibilità. Qui si trovano bambini che hanno bisogno di amore e donne che vogliono costruirsi un futuro, persone che necessitano di cure, istruzione, e, soprattutto, di qualcuno che creda in loro.
Il nostro contributo alla missione
Ogni giorno, insieme agli altri volontari di AMOA, ho avuto la possibilità di contribuire, cercando di migliorare la vista di chi ne aveva bisogno. Non abbiamo fatto miracoli, ma semplicemente cercato di rendere un po’ più chiara la realtà di chi faticava a vedere.
In questa missione, Daniela Smania, la nostra guida instancabile, ha dato a me e agli altri volontari la possibilità di essere parte di qualcosa di speciale. Daniela è una vera leader, una donna che ammiro profondamente: ha mille responsabilità e non sa mai dove sbattere la testa prima, ma con incredibile dedizione e una forza straordinaria, trova sempre il tempo di aiutare gli altri. Con pazienza e precisione, ha coordinato ogni aspetto della missione, facendoci sentire sempre supportati e al sicuro. Per me, lei è un esempio di forza, altruismo e determinazione.
Io e Daniela ci siamo dedicate con impegno alla distribuzione degli occhiali, assieme a Rocco Romagnoli (mio padre, che ha voluto fortemente la mia partecipazione e quella di Concetta e Nicola), Concetta Romano e Nicola Longhi.
Mio padre, Rocco, è stato un supporto fondamentale in questa esperienza, una presenza che mi ha dato forza e sicurezza. È una persona di grande generosità, sempre pronto ad aiutare gli altri e con un profondo desiderio di fare del bene. Non è solo un professionista eccezionale, ma è, senza dubbio (almeno per me), la persona più buona del mondo.
Un grande contributo è arrivato anche da Nicola Longhi, che ha installato la mola donata da AMOA per la realizzazione degli occhiali su misura. Nonostante le difficoltà, in quanto non aveva gli strumenti necessari, Nicola ha dimostrato grande ingegno, creando ciò che gli serviva per poter installare correttamente la mola e portare a termine il nostro lavoro. Oltre alla parte tecnica, Nicola ha formato tre ragazze locali al montaggio degli occhiali, una formazione fondamentale per garantire che il nostro lavoro continui anche dopo la nostra partenza.
Concetta Romano è stata una presenza preziosa e sempre pronta a dare una mano. Con la sua precisione e il suo entusiasmo, ha lavorato al fianco di tutti noi, soprattutto nella misurazione della vista (insieme a mio padre) e nella distribuzione degli occhiali.
Non posso non menzionare Sergio Tabacchi, il nostro medico oculista, un professionista straordinario e una persona d’oro. Con la sua calma e la sua dolcezza, ha diretto la sua équipe — composta da Lucia Benatti, Alessandro Romani e Massimiliano Giovannini — e insieme hanno lavorato senza sosta, tra interventi e visite. Con professionalità e umanità, si sono dedicati con tutto il cuore, facendo sentire ogni paziente speciale. Persone d’oro, sia sul piano professionale che umano.
E poi c’è Leda Signori, una donna che non dimenticherò mai: forte, generosa, con un cuore immenso e una voglia di fare del bene contagiosa. È stato speciale condividere ogni momento con lei e con tutti gli altri volontari, italiani e locali. Grazie anche a Carolina Paltrinieri, che, dall’Italia, è stata presente ogni giorno con il suo supporto e le sue preziose indicazioni.
Il campo profughi
I padri salesiani, infine, ci hanno portato in un campo profughi, dove ogni giorno distribuiscono il pane che producono nella loro missione. Quel pane non è solo un alimento: è un simbolo di speranza, di vita che persiste nonostante la sofferenza. Ho avuto l’opportunità di vedere con i miei occhi la realtà di chi ha dovuto abbandonare la propria terra, scappando da atrocità indescrivibili, percorrendo a piedi, a volte per giorni, quello che in macchina si farebbe in due. Le persone che vivono lì sono sfollate, costrette a ricominciare da zero, a ricostruire una vita che non hanno scelto. In quelle scuole, che sono diventate rifugi, vivono in condizioni che sono difficili da comprendere. Cinque famiglie per ogni aula, divise da pareti di fortuna, dormendo a stretto contatto, senza spazio privato, senza risorse per affrontare nemmeno le necessità di base. Ma c’è una forza incredibile in loro, una resilienza che fa pensare che, nonostante tutto, non hanno perso la speranza.
L’eredità di Adwa: competenze, umanità e solidarietà
Questa missione mi ha insegnato il valore dei piccoli gesti, della semplicità e del contatto umano. Mi ha fatto apprezzare ogni privilegio che diamo per scontato: l’accesso alla salute, al cibo, alla sicurezza, alla possibilità di scegliere. Ad Adwa ho imparato che aiutare non significa solo dare, ma lasciare competenze, costruire insieme, e far sì che le persone possano camminare con le proprie gambe.
Essere una volontaria AMOA è stato un onore, un’esperienza che mi ha cambiato per sempre. Ho lasciato un pezzo di cuore ad Adwa, ma sono certa che una parte di Adwa resterà sempre con me.